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Brasile, in Amazzonia lungo il fiume della vita

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Come un novello esploratore nel cuore verde del mondo, alla ricerca di quel senso di avventura che oggi sembra difficile trovare in altri luoghi.

Testo e foto di Mauro Parmesani

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A bordo della Doña Selly II, Rio delle Amazzoni ©Mauro Parmesani

Regna il silenzio a bordo della Doña Selly II, il river boat che incrocia tra gli splendidi scenari naturali del Rio Negro e il Rio Solimoes, ovvero nell’immensa distesa liquida del Rio delle Amazzoni.

Un universo di acqua, foreste e cielo in cui il tempo si è fermato, facendo sentire ogni viaggiatore un vero e proprio esploratore-avventuriero.

Mi lascio dondolare nell’amaca issata a poppa che concilia il sonno o meglio, il dolce far niente. Intorno, l’immensa e impenetrabile foresta verde in cui il fiume dilaga, creando l’igapò ovvero, quella parte dell’area verde che si allaga completamente durante la piena del grande fiume, da maggio ad ottobre.

Sto navigando nel cuore del polmone verde della terra, quello che gli Incas chiamavano Amaru-Mayu: il Grande Serpente-Madre degli uomini.

Non si può restare indifferenti a tanta bellezza e potenza. Il respiro possente della natura che si estende su 6 milioni di km quadrati, le cui vene pulsanti sono oltre 1100 affluenti, la metà dei quali più grandi del Po.

La navigazione

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©Mauro Parmesani

Il river boat naviga sicuro tra l’immenso dedalo dell’Arcipelago das Anavilhanas, considerato tra i più vasti arcipelaghi d’acqua dolce del mondo.

Si estende centocinquanta chilometri a nord di Manaus: qui il Rio delle Amazzoni è immenso, con le sponde che distano oltre 20 km.

Si potrebbe navigare per settimane intere mutando scenografie a ogni ora del giorno, esplorando a fondo le infinite diramazioni degli “igarapé”, i canali che si estendono dal corso principale del fiume.

Il tutto in una sinfonia di silenzioso verde, sino ad arrivare là dove l’acqua lascia il posto alla terra umida, in quel tratto di foresta chiamata “Vàrzea”, dove gli enormi alberi di ceiba vengono battuti come tamburi e da cui pendono grandi liane che i locali utilizzano per abbeverarsi, tagliandole con un colpo secco del macete, bevendone l’acqua che ne scaturisce.

L’immensità della natura

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Brasile, navigazione verso Manaus, Mato Grosso ©Mauro Parmesani

Guardo l’acqua scura mentre da lontano le scimmie avvertono la nostra presenza. Scruto la foresta e, per un attimo, un attimo lunghissimo, il tempo si cristallizza. Non sono più io, sono Fitzcarraldo, il rivoluzionario delle scelte inaudite, del rischio ad ogni costo, l’Eroe inutile.

“Come è vero che sono qui, un giorno porterò la Grande Opera a Iquitos ed Enrico Caruso canterà per tutti noi. Io sono l’Eccesso e il Soprannumero. Io sono l’Ultima Battaglia. Io sono lo Spettacolo nella foresta vergine”, urla Fitzcarraldo nell’estasi dell’impresa, quando di fronte all’impossibile superamento delle rapide, reagisce trascinando il suo battello lungo la montagna.

Con infinita lentezza la barca naviga nella foresta, riuscendo nella mostruosa impresa. Nel meraviglioso film diretto da Herzog, con Klaus Kinski-Fitzcarraldo – un adolescente di sessant’anni, tutto in bianco, con una criniera di capelli gialli, così lo descrisse Bruce Chatwin, che lo conobbe, qualche anno dopo, sul set del film Cobra Verde – alla fine, la Grande Opera risuona nel cuore della giungla.

Non ha guadagnato nulla Fitzcarraldo, ma ha realizzato l’impossibile. Per questo vale la pena vivere. In questo mondo, lontano dal mondo, mi sento Fitzcarraldo, più vicino all’assurdo, alla sfida impossibile, che ai dettami della ragione, del vivere codificato.

Da un sogno ad occhi aperti, alle fauci di un Jakaré (piccolo alligatore) che ha appena azzannato la sua preda. Continuiamo a navigare.

Ora è la confluenza del Rio Negro con il Rio Solimoes che è di scena. L’incontro avviene a sud della città di Manaus e dà vita al Rio delle Amazzoni.

In verità, i due fiumi, prima di unirsi completamente, marciano paralleli per circa 1000 chilometri, mantenendo ognuno la propria densità, colore e temperatura.

L’encontro das aguas” è perfettamente visibile: il Rio Negro è di colore scuro per la decomposizione di materiale organico, scorre a circa 2-3 nodi e, ha una temperatura di 30° centigradi.

Il Solimoes è di colore giallo argilloso, con una temperatura di 5° C in meno. Navigando nel Rio Solimoes che si estende nella regione di Xiborena, è più facile approfondire i contatti con i Caboclos, l’etnia meticcia che vive su palafitte lungo le sue sponde. 

La pesca dei piranha

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A pesca di piranha sul Rio Solimoes ©Mauro Parmesani

Sono pescatori infallibili, coltivatori di manioca. Mantengono quasi intatte usanze, tradizioni e stile di vita.

È sulle loro canoe, lunghe e strette, che provo l’emozione di pescare i piranha. Il metodo è semplice, basta ancorare la canoa sotto un grande albero di samauma e battere la superficie dell’acqua.

In pochi minuti siamo attorniati dai voraci pesciolini dalla dentatura tagliente. Gettiamo in acqua la lenza con il terminale d’acciaio e con un boccone di carne. Il gioco è fatto.

In meno di 30 minuti sono già a pagliolo una decina di piranha pronti per la deliziosa zuppa caboclos della cena serale.

I piranha contrariamente a quanto si pensi, si nutrono di vegetali. I fiori degli alberi samauma sono i prediletti da questi pesci.

Diventano aggressivi e voracissimi solo nei periodi di secca o, quando sono attirati dal sangue.

Vivere a contatto con i caboclos è un’esperienza indimenticabile, sia per lo stile di vita semplice e naturale, con pochi contatti con il mondo esterno, sia per la profonda conoscenza che hanno della foresta.

Ho imparato molto da loro, scambiandoci esperienze vissute, attorno al fuoco, mentre la zuppa di piranha bolliva in pentola. In fondo, come affermava l’antropologo polacco Bronislaw Malinowski “non è tanto una storia da raccontare, quanto una realtà da vivere pienamente che fa la differenza”

Gli sciamani e le medicine naturali

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Brasile, lungo il Rio Negro ©Mauro Parmesani

Lo sciamano è il mediatore tra gli uomini e gli spiriti, il medico è la memoria storica del villaggio. Cura con ciò che offre la foresta. Di seguito alcuni esempi di ciò che può utilizzare nella creazione dei vari rimedi.

Guaranà: una leggenda Maué narra che la dea Luna mise negli occhi di un bimbo ucciso da un serpente due bacche di guaranà che produssero frutti simili agli occhi umani. Infatti, guara-nà, significa occhi che vivono. Questa pianta il cui nome scientifico è Paulina cupana, è un ottimo integratore per mantenersi in forma. Viene preparata al momento, grattugiata con la lingua ossea del pesce piracuru e bevuta nell’acqua. Jakaré: il grasso di alligatore viene utilizzato contro i reumatismi.

Anaconda: il grasso del serpente più grande al mondo viene applicato sulle contusioni e per cicatrizzare le ferite. Capibara: è uno dei più grandi roditori viventi e il suo grasso viene utilizzato come antiasmatico. Crotalo muto: Serpente molto pericoloso, il cui grasso, unito alla pelle e alle ossa polverizzate, cura le ulcere cutanee. Gambero di fiume: dal carapace si ricava una farina che previene l’invecchiamento cerebrale. Iguana: sciolta nell’alcool si beve come tranquillante.

Scarafaggio: la polvere che ne deriva dalla macinazione, sciolta nell’acqua ha effetti antispasmici. Tucano: la polvere del becco infusa nell’alcool è afrodisiaca.

Testo e foto di Mauro Parmesani|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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