Un Paese immenso, di grande interesse naturalistico ed etnografico e un vero e proprio melting pot culturale. Un viaggio in Etiopia richiede un discreto spirito di adattamento, ma è proprio questo aspetto a renderlo un Paese autentico, con scenari straordinari ed etnie dalle tradizioni ancora intatte.
Testo di Nadia Ballini foto di Luca Bracali
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Ogni area ha caratteristiche paesaggistiche e culturali che meritano attenzione: dall’inospitale Dancalia nel nord, alla fascino antico di Harar, ad oriente, che riecheggia antichi sultanati e le rotte delle carovane di dromedari provenienti dalla costa somala.
E poi c’è il sud, solcato dalla Great Rift Valley, con savana, pianure aride, foreste e le rive dei fiumi Omo e Mago dove vivono alcuni fra i gruppi etnici più affascinanti del continente africano.
Dallol e Erta Ale: nel cuore della Dancalia
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Nella depressione dell’Afar, stretta tra Etiopia, Eritrea e Djbuti, e precisamente nella surreale Dancalia, sono ospitate due meraviglie naturali di sorprendente bellezza: i paesaggi lunari del Dallol e il vulcano Erta Ale.
Quella che è considerata una delle aree più calde e inospitali della terra si raggiunge con un volo da Addis Abeba a Mekele e poi con un viaggio in auto di qualche ora. La bellezza di quest’area, con colori creati dall’attività vulcanica, sfida l’immaginazione.
Dallol, conosciuto come “la porta dell’inferno”, è la maggiore depressione in Etiopia e il luogo più caldo della terra con temperature che possono superare i 50°C.
Il suo territorio, plasmato dall’attività geotermica, è un capolavoro unico al mondo di madre natura che ha sapientemente creato un paesaggio surreale di pozze di fango colorate, fumarole e formazioni saline.
Nonostante l’ambiente ostile e desolato, Dallol attrae viaggiatori, disposti a pernottare sotto un cielo di stelle ad una temperatura che si aggira intorno ai 30 gradi, per conoscere da vicino uno dei luoghi più estremi del pianeta.
Il vulcano Erta Ale, noto per il suo lago di lava permanente, che è uno dei più grandi al mondo, si trova a circa 90 chilometri da Dallol.
Si raggiunge con un trekking di 15 chilometri per coprire i quali sono necessarie 2 o 3 ore di cammino, in notturna, reso difficoltoso dal caldo e dall’oscurità. Raggiunta la sommità, si pernotta sul bordo del cratere e, all’alba, è possibile osservare l’affascinante spettacolo del fiume di lava che solca la caldera del vulcano.
È in un ambiente estremo come la Dancalia che il viaggiatore percepisce l’immensità degli spazi del pianeta terra e la potenza, a volte impietosa, della natura.
I laghi etiopi: alla scoperta di fauna e mestieri
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L’Etiopia vanta una moltitudine di laghi che danno vita ad una grande varietà di paesaggi dalla bellezza selvaggia e incontaminata.
Sulle rive del Lago Chamo, il terzo lago più grande dell’Etiopia, è possibile osservare alcuni fra i più grandi coccodrilli del mondo che si crogiolano al sole.
Questi esemplari possono raggiungere ben 6 metri di lunghezza. L’area è popolata anche da ippopotami e da molti uccelli quali l’aquila pescatrice che nidifica sulle sue sponde.
Per osservare l’attività della pesca è da non perdere il mercato del pesce della città di Hawassa, situata sulle rive del Lago Auasa, scenograficamente abbracciato da montagne, nella Great Rift Valley, una fenditura di ben quattromila chilometri che dal Mozambico si estende sino al Mar Rosso.
I pescatori iniziano la loro attività nel pomeriggio, a bordo di imbarcazioni in legno. Al loro rientro, alle prime luci dell’alba del giorno successivo, il mercato è un vivace brulicare di venditori e acquirenti che contrattano tra di loro mentre grandi marabù sembrano osservarli e il sole del mattino tinge di oro le reti.
Il lago Auasa ospita numerose colonie di pellicani che si appostano vicino alle barche, ormeggiate sulle sponde del lago, in attesa di lanciarsi con agilità sugli scarti dei pesci che i pescatori gettano nello specchio acqueo.
Harar, l’ispirazione di una città senza tempo
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Con un volo da Addis Abeba a Dire Dawa, si approda nella parte est dell’Etiopia, non lontana dal Djbuti. Qui si coltiva il caffè e il “chat”, una pianta dall’azione stimolante, ed è possibile immergersi nell’affascinante atmosfera della città fortificata di Harar, un frammento di Yemen in terra d’Africa.
Risalente al XVI secolo, Harar è la quarta città santa dell’Islam e si ritiene sia stata fondata da immigrati arabi. Qui, nel Corno d’Africa, si ha la sensazione di scoprire un’altra Etiopia.
Caratteristica di Harar è un intricato labirinto di 368 vicoli che il perimetro delle mura cittadine, lungo 3 chilometri e mezzo, comprime all’interno di un chilometro quadrato.
Più di 82 moschee, un centinaio di santuari, 2000 abitazioni tradizionali di colore pastello e mercati nei quali ondeggiano gli abiti variopinti delle donne, trasportano il visitatore in un’atmosfera senza tempo.
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Qui soggiornò anche il raffinato poeta francese Arthur Rimbaud, che nel XIX secolo trovò ad Harar il suo rifugio, dedicandosi al commerciò del caffè e al traffico di armi.
In questa città trovò l’ispirazione per sviluppare il linguaggio evocativo della sua poesia. Al poeta è dedicato un museo, collocato in quella che si ritiene sia stata la sua dimora.
Harar offre anche l’opportunità di osservare i cosiddetti “uomini iena” che nutrono le iene che si riuniscono di notte al di fuori delle mura cittadine.
Questa pratica è nata nel 1950 per opera di un uomo che iniziò a nutrire le iene per propiziare la buona sorte, dando seguito ad una tradizione che incoraggiava a dare porridge a questi predatori per proteggere il bestiame dai loro attacchi.
Valle dell’Omo, lo scrigno di tradizioni ancestrali
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La Valle dell’Omo, situata nel sud-ovest dell’Etiopia, è un’area remota e affascinante che ospita una straordinaria varietà di popoli e culture. Si stima che qui vivano più di 20 gruppi etnici, caratterizzati da lingue, tradizioni e costumi unici.
La Valle ha un ambiente selvaggio e incontaminato, con savane lussureggianti che si alternano a vasti territori aridi, ed è solcata dai fiumi Omo e Mago, elementi vitali per la sopravvivenza delle popolazioni locali.
Nel corso dei secoli le etnie della Valle dell’Omo hanno sviluppato società e tradizioni millenarie, strettamente connesse all’ambiente circostante.
La città più grande della regione è Jinka, la prima porta di accesso nel viaggio verso sud alla scoperta delle tribù della valle. Nel suo mercato del sabato si danno appuntamento vari gruppi etnici, tra cui Ari, Banna, Mursi e Bashada.
Mursi, gli ultimi ornamenti labiali d’Africa
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Da Jinka si dipanano strade polverose che raggiungono il Parco nazionale del Mago e le aride colline dell’ovest dove si trovano i villaggi della straordinaria etnia Mursi.
L’incontro con questa etnia è un viaggio nel tempo e in tradizioni antichissime. I Mursi sono una tribù di pastori semi nomadi che si spostano sia durante la stagione secca, sia durante quella delle piogge e, nelle zone dove esonda il fiume Omo, ricavano terreni fertili nei quali praticare l’agricoltura.
La loro principale risorsa è l’allevamento del bestiame. I Mursi sono noti per i loro tatuaggi, ma soprattutto sono uno degli ultimi popoli africani nei quali le donne portano ancora ornamenti labiali e auricolari in argilla a forma di dischi piatti.
Le donne sfoggiano dischi che possono raggiungere i 12 centimetri di diametro, inseriti all’interno del labbro inferiore attraverso un’incisione che viene praticata intorno ai 15 anni di età.
Per potersi nutrire, indossando l’ornamento, sono costrette ad estrarre i quattro denti incisivi inferiori. I fori nei lobi delle orecchie sono invece praticati molto prima: intorno ai cinque anni di età. Non è nota l’origine di questa pratica, ma si ritiene che i dischi di argilla siano un ornamento che sancisce il passaggio all’età adulta.
Hamer, ornamenti simbolici e riti di iniziazione
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Proseguendo in direzione sud si incontra la città di Turmi, che, insieme a Dimeka, è il regno del popolo Hamer, un’etnia di più di 40.000 individui che vivono principalmente di agricoltura e di pastorizia. Coltivano ortaggi, miglio e il sorgo, con il quale creano una birra fermentata; allevano bovini e capre e producono anche il miele per la loro alimentazione.
Gli Hamer si distinguono per le particolari acconciature per creare le quali preparano una pasta composta da acqua, ocra e resina che applicano sulle singole ciocche di capelli sino a creare trecce che sono simbolo di prosperità.
Ma sono anche noti per le decorazioni con le quali abbelliscono il corpo: le donne sfoggiano collane di perline colorate e bracciali in ferro, che rivelano il ceto sociale della famiglia.
Le donne sposate o fidanzate indossano collane in ferro che indicano il prestigio del marito o del fidanzato; le donne nubili portano invece un disco di metallo tra i capelli. Prima del matrimonio le giovani donano i loro monili alla famiglia del futuro sposo.
La tribù è anche nota per la cerimonia del salto dei tori, un rito di iniziazione che segna il passaggio dei ragazzi hamer, ma anche dei banna, all’età adulta.
Tra urla e suoni di corni, i giovani, completamente nudi, sono sfidati a saltare sul dorso di 15-30 tori, disposti uno accanto all’altro, per ben tre volte senza mai cadere. Prima di questa prova, le ragazze della loro famiglia porgono agli uomini delle fronde di piante e li supplicano di essere frustate per dimostrare, attraverso la profondità delle cicatrici, l’intensità dell’amore che provano per il ragazzo.
Karo, la tribù degli artisti
Attraversando la savana e tipici paesaggi africani si raggiunge la tribù dei Karo, una delle etnie con meno individui della valle dell’Omo.
Un tempo pastori, oggi i Karo vivono prevalentemente di agricoltura. La particolarità di questa tribù è quella di dipingere i loro corpi con grande maestria e fantasia usando gesso bianco e colorato. Le decorazioni che abbelliscono i loro corpi, spesso, sono vere e proprie opere d’arte.
Banna, i cacciatori e i trampoli
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I Banna vivono sulle alture intorno a Key Afer. Sono molto simili agli Hamer sia per cultura che per abbigliamento benché si distinguano per il fatto che i monili sono abbelliti con perline di colore blu.
In maggioranza sono agricoltori e praticano la caccia: per l’uccisione di un bufalo preparano grandi festeggiamenti, in occasione dei quali decorano il loro corpo con l’argilla.
Non è raro incontrare gruppi di giovani banna mentre camminano sulle strade polverose su altissimi trampoli: un’antica tradizione dovuta alla necessità di evitare gli attacchi degli animali selvatici ai pastori mentre custodivano il bestiame. Oggi la consuetudine è conservata dagli uomini celibi, soprattutto durante i festival e i riti.
Konso, il simbolismo dei villaggi
Proseguendo verso sud, si raggiunge Konso, punto di partenza verso la Bassa valle dell’Omo e sito designato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Qui, su un vasto altopiano, vive l’antica etnia Konso, nota per i campi terrazzati e per l’intricato reticolato di recinti e di sentieri sui quali si affacciano capanne con i tetti di paglia e strutture cerimoniali.
Le piazze sono espressione delle loro tradizioni e della loro complessa cultura: qui sono collocate strutture in legno scolpite, dedicate agli eroi, dette “waga”, e campeggiano i “pali delle generazioni”, eretti ogni 18 anni, accanto a pietre che celebrano le battaglie con le tribù nemiche.
I Dorze e le capanne di canne di bambù
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A nord-ovest di Arba Minch, sui nebbiosi monti Guge, si trovano i villaggi dell’etnia Dorze, nota per i colorati tessuti in cotone e per costruire le abitazioni con canne di bambù.
Le capanne dorze, a forma di ceste capovolte, possono raggiungere i 12 metri di altezza ed essere facilmente sollevate e spostate in un altro luogo qualora la loro base sia infestata dalle termiti. Queste strutture, nelle quali i Dorze vivono insieme al loro bestiame, sono tutt’altro che fragili: possono conservarsi anche 60-80 anni grazie al fumo del fuoco che arde al centro della struttura e che protegge le capanne dalla muffa e dalle termiti.
Un viaggio nelle radici dell’umanità
In questa porzione meridionale dell’Etiopia tradizioni millenarie pulsano al ritmo della sua natura selvaggia. Qui il viaggiatore può scoprire le radici dell’umanità in un viaggio dentro se stesso e attraverso un mosaico di popoli fieri custodi di culture ancestrali.
Infoutili
Come arrivare: Ethiopian Airlines raggiunge la capitale, Addis Abeba, e collega varie aree del paese con voli interni. La compagnia serve inoltre quasi tutte le destinazioni africane.
Quando andare – Clima: l’Etiopia è un Paese molto esteso con aree climatiche diverse. In linea generale il periodo migliore per visitarla è tra novembre e gennaio, mentre nei mesi di giugno e di luglio si possono trovare piogge molto intense.
Fuso orario: l’Etiopia è avanti di due ore rispetto all’Italia, che diventa una quando in Italia è in vigore l’ora legale.
Documenti: i viaggiatori di nazionalità italiana, così come quasi tutti i visitatori stranieri, devono essere muniti di visto d’ingresso, che consente una permanenza di un mese. Al momento è possibile ottenerlo all’arrivo al Bole International Airport di Addis Abeba. Il passaporto dovrà avere una validità residua di almeno sei mesi.
Vaccini: previo parere medico sono consigliate le vaccinazioni contro tifo, epatite A e B, poliomielite, difterite, tetano, meningite e rabbia.
Lingue: in Etiopia si parlano amarico, inglese, oromo, tigrino, somalo, sidamo.
Religione: la religione più diffusa è quella cristiana, con cristiani ortodossi, protestanti, evangelici e cattolici. Circa il 30 per cento degi Etiopi è di religione musulmana. In percentuale minore l’animismo o religioni quali testimoni di Geova e rastafarianesimo.
Valuta: ETB – Birr etiope. Le maggiori carte di credito non sono utilizzabili ovunque. E’ consigliabile portare con sé denaro contante.
Elettricità: 220V/50Hz. L’erogazione della corrente elettrica non è stabile. Nella valle dell’Omo alcuni lodge sono dotati di generatori di corrente che forniscono energia elettrica ad orari stabiliti.
Telefono: il prefisso per telefonare in Etiopia è 00251 seguito dal prefisso distrettuale e dal numero dell’abbonato. Per chiamare l’Italia si compone lo 0039 seguito dal prefisso e dal numero telefonico. La copertura della rete mobile non è ottimale.
Testo di Nadia Ballini foto di Luca Bracali|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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